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Munch. Il grido interiore

11 Febbraio - 2 Giugno 2025

Palazzo Bonaparte - Piazza Venezia, 5

La mostra “Munch. Il grido interiore”, in programma a Palazzo Bonaparte dall’11 febbraio al 2 giugno 2025, offre un raro sguardo sul percorso artistico del grande maestro norvegese. Un’opportunità per comprendere da vicino il mondo interiore di Edvard Munch, attraverso dipinti, disegni e opere grafiche capaci di illustrare l’evoluzione di un artista simbolo dell’Espressionismo.

Starry Night di Edvard Munch – Mostra “Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte
Starry Night (1893) di Edvard Munch, uno dei suoi capolavori più evocativi, sarà protagonista della mostra “Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte

L’evento che si terrà a Palazzo Bonaparte dall’11 febbraio al 2 giugno 2025 costituisce un appuntamento di notevole rilievo per la scena culturale di Roma e per tutti gli studiosi e appassionati d’arte, poiché permette di approfondire in maniera organica la produzione del pittore norvegese Edvard Munch. La capitale, da sempre crocevia di grandi esposizioni, si prepara così ad accogliere un itinerario che non si limita a presentare opere di forte impatto emotivo, ma fornisce anche una prospettiva più ampia sull’esperienza umana al centro della poetica di Munch. Il percorso, infatti, intende dare risalto tanto agli aspetti di rinnovamento stilistico e tecnico, quanto alla profonda interiorità che contraddistingue l’artista, rendendolo un riferimento di primaria importanza nel panorama dell’Espressionismo. All’interno delle sale di Palazzo Bonaparte, il visitatore potrà confrontarsi con quella dimensione personale che rese Munch un unicum nella storia dell’arte, aprendo un dialogo intenso con la realtà esistenziale che lo circondava.

Edvard Munch e l’eredità dell’Espressionismo

L’opera di Edvard Munch si inserisce in un contesto culturale e storico segnato dalla fine del XIX secolo e dall’inizio del XX, momento in cui nuovi impulsi artistici fioriscono in Europa. Assieme alle correnti d’avanguardia, prende forma un linguaggio pittorico carico di tensione emotiva, che mette in primo piano l’interiorità dell’individuo. L’Espressionismo, di cui Munch è considerato precursore e sostenitore, si sviluppa proprio attraverso un bisogno di sovvertire i canoni naturalistici e accademici a favore di una pittura che esprima in modo autentico e diretto i moti interiori.

La poetica di Munch, ricca di rimandi simbolici e psicologici, affonda le proprie radici in esperienze biografiche spesso segnate dalla sofferenza, dal lutto e dalla malattia: temi che diventeranno centrali in molte delle sue tele. La sua capacità di trasformare il tormento personale in rappresentazione universale di angoscia, solitudine e desiderio di amore è uno degli elementi che rendono le sue opere ancora oggi di grande fascino. Se con “L’Urlo” (in norvegese “Skrik”) Munch raggiunge probabilmente l’apice della sua fama, in realtà l’intero corpus dei suoi lavori è un susseguirsi di immagini iconiche, come “Madonna”, “Il bambino malato”, “Pubertà” e “La danza della vita”. Tali opere testimoniano il lungo percorso di ricerca di una forma pittorica sempre più semplificata e incisiva, capace di comunicare la fragilità umana in maniera diretta.

L’influenza delle avanguardie europee

A cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, Edvard Munch vive in varie città europee come Parigi, Berlino e, naturalmente, in Norvegia, entrando in contatto con personalità e movimenti destinati a cambiare il volto dell’arte. Dipinti di artisti come Vincent van Gogh e Paul Gauguin influenzano la sua scelta di una palette dai colori intensi, così come la deformazione espressiva delle forme che troverà nuovi esiti nei Fauves e nell’Espressionismo tedesco.

A Berlino, in particolare, Munch si lega ad ambienti artistici e letterari aperti alle novità, ed espone in contesti che favoriscono il dibattito intorno alla sua opera. La ricezione inizialmente contrastante non gli impedisce, tuttavia, di gettare le basi di un linguaggio autonomo. L’energia sprigionata dai colori e la tensione delle linee, che entrano spesso in conflitto con la prospettiva tradizionale, testimoniano una nuova percezione dello spazio pittorico e dell’umana condizione. La mostra a Palazzo Bonaparte consente di riscoprire proprio queste sfaccettature, ripercorrendo i momenti fondamentali della carriera di Munch e illustrando come l’artista abbia saputo assorbire gli stimoli delle avanguardie senza perdere la propria identità.

I tratti distintivi del linguaggio di Munch

La pittura di Edvard Munch si contraddistingue per l’uso di linee ondulate, tratti ora netti ora sfumati, campiture cromatiche intense e luci drammatiche capaci di proiettare sulla tela le ombre della psiche. L’impiego di tecniche miste, tra cui pittura a olio, litografia, xilografia e acquaforte, testimonia la sua versatilità. Egli sperimenta costantemente le potenzialità dei vari mezzi espressivi, a volte ritoccando le matrici di stampa in momenti differenti, per generare versioni diverse di una stessa composizione.

Il suo ricorso a segni vibranti e a contorni marcati enfatizza la presenza fisica dei soggetti rappresentati, che talvolta paiono emergere da uno sfondo indefinito, come sospesi in un’atmosfera onirica o allucinata. Questi elementi caratterizzano sia i ritratti, spesso intensi nella penetrazione psicologica, sia le scene di gruppo, che rivelano un senso di inquietudine e di tensione relazionale. Il percorso della mostra fornirà esempi di tale evoluzione, mostrando quanto Munch abbia saputo dare forma pittorica ad ansie e aspirazioni collettive, rendendole universalmente riconoscibili.

“Mostra: Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte

Organizzata con la cura scientifica tipica di un evento di tale calibro, la “Mostra: Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte costituisce un’occasione preziosa per immergersi nelle opere più rappresentative dell’artista norvegese. Il nome dell’esposizione sottolinea uno degli aspetti centrali della ricerca di Munch: l’espressione di un’inquietudine profonda, che si fa vera e propria voce di un’epoca storica in trasformazione. A Roma, i visitatori potranno attraversare sale concepite per mettere in rilievo il senso di coinvolgimento emotivo offerto da ogni dipinto.

Provenienti da collezioni internazionali e da musei, i lavori qui presentati spaziano dagli esordi fino alla maturità, offrendo un quadro completo di come lo stile munchiano si sia evoluto negli anni. La selezione, attentamente curata, cerca di rendere conto tanto dei capolavori più noti, quanto di opere meno divulgate in Italia, offrendo in tal modo una comprensione estesa della portata artistica di Munch. Particolare attenzione è riservata alla dimensione intima e spirituale, in cui solitudine e speranza, turbamento e desiderio si mescolano in un dialogo continuo.

Spazi e allestimento

Gli ambienti di Palazzo Bonaparte costituiscono un contesto altamente suggestivo per valorizzare l’arte di Edvard Munch. L’allestimento è pensato per condurre il visitatore attraverso un crescendo di tensione e intensità emotiva, riflettendo i mutamenti e le sperimentazioni dell’artista. Ogni sala è dedicata a un momento o a un tema chiave della produzione munchiana, favorendo la comprensione organica del percorso espressivo e offrendo una panoramica delle diverse tecniche da lui adottate.

L’allestimento, ispirato al rigore scientifico dei curatori e all’attenzione filologica per le opere, punta a ricreare un legame tra lo spazio e i temi affrontati. Contrasti cromatici, giochi di luce e pannelli informativi approfondiscono l’analisi delle opere e contestualizzano il loro significato storico-artistico. Questo approccio espositivo mira a mettere in evidenza come, nell’arco di una lunga carriera, Munch abbia saputo incorporare le suggestioni europee e rivisitarle secondo la propria sensibilità.

I principali nuclei tematici

La “Mostra: Munch. Il grido interiore” è articolata in diversi nuclei tematici, ciascuno dedicato a un aspetto determinante della poetica munchiana. Si parte con le opere giovanili, in cui l’influenza dell’Impressionismo e del Simbolismo risulta ancora mediata da un approccio naturalistico, ma già tradisce un’instabilità emotiva, espressa da pennellate audaci e da un uso particolare della luce.

Un altro nucleo cruciale è dedicato alla malattia e alla morte, temi centrali nell’opera di Munch, che sin dalla giovanissima età si trovò a sperimentare lutti familiari dolorosi. Tele come “Il bambino malato” rivelano con potenza l’angoscia provata dall’artista di fronte a eventi che minarono la sua sensibilità, andando a segnare in modo indelebile il suo immaginario.

Non mancano poi gli amori tormentati e le relazioni interpersonali, rappresentati da figure femminili che incarnano seduzione e timore, assieme a uno sguardo critico sulle dinamiche di coppia. Infine, vi è ampio spazio per l’introspezione psicologica e per una riflessione sull’individuo inserito in un cosmo vasto e sconosciuto, che trova massima espressione in composizioni iconiche come “L’Urlo” o “La danza della vita”.

L’artista e la sua evoluzione

Nel panorama dell’arte europea, Edvard Munch occupa una posizione di grande rilievo per la sua capacità di precorrere tendenze che sarebbero esplose pienamente solo nei decenni successivi. Nato a Løten, in Norvegia, nel 1863, crebbe in una famiglia provata da eventi drammatici: la morte prematura della madre e della sorella influì profondamente sul suo immaginario, portandolo a riflettere fin da giovane sui temi esistenziali della caducità della vita, del dolore e della paura.

Dopo aver frequentato la Scuola Reale di Disegno di Kristiania (l’odierna Oslo), Munch entrò in contatto con i circoli bohemien della città, apprendendo in particolare come l’arte potesse essere veicolo di protesta e di ricerca interiore. I suoi primi lavori, intrisi di simbolismo, portarono già i segni di una rottura con i canoni accademici. Nel corso di viaggi di studio a Parigi e in Germania, l’artista approfondì le sue conoscenze, confrontandosi con i lavori di Claude Monet, Vincent van Gogh, Paul Gauguin e con i fermenti del primo Espressionismo tedesco.

Lo stile di Munch subì una lenta ma significativa evoluzione, nel corso della quale sperimentò un marcato abbandono della prospettiva e della resa naturalistica a favore di colori accesi, di linee vibranti e di una costruzione spaziale volutamente deformata. Le figure si fecero via via più sintetiche, quasi a voler suggerire che l’essenza di un sentimento non necessita di elaborazioni accademiche per manifestarsi in tutta la sua forza. Questa ricerca venne accompagnata da una dimensione fortemente autobiografica, dando origine a un ciclo di opere note come *Fregio della Vita*, in cui Munch codificò i temi fondamentali della propria poetica: l’amore, l’angoscia, la gelosia, la morte.

L’importanza di Roma e i precedenti successi

Ospitare una mostra di Edvard Munch a Roma, città di antichissima tradizione artistica, significa offrire a un pubblico internazionale l’opportunità di ripercorrere una fase cruciale dell’arte moderna in un contesto architettonico e culturale di indubbio fascino. L’evento riprende l’eco dei precedenti successi italiani dedicati all’artista, tra cui quello tenutosi a Milano, dove l’esposizione di Munch a Palazzo Reale ha registrato l’interesse di un ampio numero di visitatori e di addetti ai lavori.

Il nuovo appuntamento nella capitale punta a fare tesoro di quella precedente esperienza, ma si propone di ampliare ulteriormente i contenuti, concentrandosi su nuovi prestiti e su una lettura critica ancora più ampia delle opere. In questo senso, Roma diviene un crocevia in cui il linguaggio di Munch, così intimo e profondo, viene contestualizzato nell’orizzonte dell’arte europea e nella costante attività di rilettura storica che i principali musei e istituzioni culturali internazionali stanno portando avanti.

Perché visitare la mostra

La “Mostra: Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte è destinata a catturare l’attenzione di chiunque desideri conoscere meglio l’universo espressivo di un artista tanto complesso. Vi sono diverse ragioni che ne giustificano la visita. In primo luogo, si tratta di un’occasione per osservare da vicino opere iconiche che raramente lasciano le istituzioni che le custodiscono, consentendo un incontro diretto con la forza dei colori e delle forme volute da Munch. Inoltre, l’allestimento e i testi critici di accompagnamento fanno emergere i risvolti biografici e i contenuti simbolici delle opere, creando un ponte ideale tra la sensibilità dell’artista e i quesiti esistenziali tipici di ogni generazione.

La mostra rappresenta infine un invito a scoprire Palazzo Bonaparte sotto una luce nuova: gli ambienti nobiliari, coniugati a un’arte dal forte impatto emozionale, offrono un percorso che si preannuncia tanto coinvolgente quanto meditativo. Gli spazi romani, intrisi di storia, accolgono i dipinti di Munch dando vita a un dialogo tra passato e presente, tra classicità e modernità, che arricchisce l’esperienza del visitatore.

Il percorso espositivo

La “Mostra: Munch. Il grido interiore” si snoda in un tragitto accuratamente studiato per enfatizzare i principali snodi tematici della carriera dell’artista. Dopo una sezione introduttiva che inquadra il contesto storico e familiare di Munch, si passa a presentare le opere degli anni giovanili, spesso contraddistinte da una pennellata più chiaroscurale e da un’attenzione a scene di vita quotidiana. In questa fase è possibile rintracciare gli inizi di quella dimensione psicologica destinata a esplodere nel corso del tempo.

Il cuore dell’esposizione è rappresentato dalle grandi tele espressioniste, in cui emergono i temi della solitudine, dell’ansia e dell’incomunicabilità. Qui i colori si fanno più drammatici, con contrasti marcati e linee ondulate che racchiudono figure quasi scultoree. Opere come “La fanciulla sulla spiaggia”, “Ansia” o “Il bacio” riflettono un universo interiore frammentato, popolato da profonde contraddizioni, che Munch riuscì a far emergere grazie a una pittura tanto potente quanto essenziale.

Sezioni tematiche e approfondimenti

Ciascuna sala affronta un nodo cruciale della produzione di Edvard Munch, mettendo in dialogo dipinti, disegni e opere grafiche. La sezione dedicata al dolore e alla malattia, per esempio, pone l’accento su come Munch abbia elaborato il lutto attraverso la pittura, trasformando la sofferenza in immagini di forte pathos. Il pubblico potrà avvicinarsi a opere di piccolo formato, nelle quali i volti appaiono segnati da un’intensità tragica, e a grandi tele in cui la figura umana è immersa in un paesaggio a tratti metafisico.

Un altro rilevante momento espositivo ruota intorno all’idea del destino e dell’eterno femminino. La figura della donna, spesso ritratta come presenza ambigua, diviene specchio delle ansie e delle passioni di Munch, coinvolgendo temi come il desiderio, l’attaccamento e la perdita. Fanno da contraltare scene di gruppo in cui la femminilità è invece simbolo di continuità e di vitalità, nonostante la sua potenziale fragilità. Questo contrasto tra eros e thanatos, tra amore e morte, investe gran parte della poetica munchiana e trova nella mostra una collocazione organica.

Focus sulle opere grafiche

Un aspetto spesso sottovalutato, ma di primaria importanza, è la produzione grafica di Edvard Munch. Litografie, xilografie e acqueforti occupano un ruolo di primo piano nell’attività dell’artista, che si avvalse di queste tecniche non soltanto per diffondere le sue immagini a un pubblico più vasto, ma anche per esplorare in modo più immediato le potenzialità espressive della linea e del segno. Nella “Mostra: Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte, i visitatori possono ammirare opere grafiche che svelano l’uso sapiente di inchiostri e matrici, testimoniando come Munch riuscisse a ottenere effetti di luminosità e di profondità sorprendenti.

Oltre a contribuire alla diffusione di soggetti iconici come “L’Urlo” o “Madonna”, la sperimentazione grafica consentì a Munch di giocare con il senso di ripetizione e variazione dei motivi, producendo differenti versioni che mettono in luce la continua evoluzione di idee e stati d’animo. Questo aspetto costituisce un prezioso tassello per comprendere il rapporto dell’artista con il concetto stesso di serialità, tema che verrà evidenziato nell’allestimento attraverso confronti e parallelismi.

Un’occasione per approfondire la modernità di Munch

La “Mostra: Munch. Il grido interiore” vuole anche far emergere la modernità di un artista che, pur non appartenendo alle avanguardie storiche più radicali, ne ha anticipato alcune istanze fondamentali, rendendosi portavoce di un nuovo sentire. Munch scardina l’idea di una pittura rassicurante e decorativa, per sostituirla con una ricerca che mette al centro l’inquietudine dell’essere umano e il suo rapporto conflittuale con la realtà. In questo senso, può essere letto come uno dei padri spirituali dell’arte del Novecento, un artista che già nel tardo XIX secolo mise in crisi la concezione classica del dipingere.

La sua influenza fu avvertita da vari movimenti successivi, a partire dal Die Brücke in Germania, passando per i tanti pittori che rivendicavano un’espressività soggettiva, disposta a superare le costrizioni della mimesi. L’eredità di Edvard Munch arriva così sino alle correnti contemporanee che indagano il tema del corpo e del disagio esistenziale, rendendolo un punto di riferimento vivo e attuale. L’esposizione di Roma permette, dunque, di compiere un viaggio alle radici di questa grande trasformazione: osservando i dipinti e le stampe di Munch, il visitatore entra in contatto con un’autenticità che travalica i secoli, testimoniando come l’arte, se esprime la verità interiore, mantenga sempre il suo impatto.

La ricerca psicologica nei ritratti

Fra i contributi più significativi di Munch alla storia dell’arte moderna si colloca la sua intensa ritrattistica, capace di restituire la componente emotiva di ogni soggetto con una precisione quasi visionaria. Che si tratti di autoritratti o di rappresentazioni di familiari, amici e committenti, i volti di Munch appaiono affaticati da un’ansia indefinita o, al contrario, resi misteriosi da una luce tagliente. Tale approccio suggerisce come l’artista concepisse la pittura non tanto come riproduzione di un mero aspetto fisico, quanto piuttosto come scavo psicologico in cui i tratti fisionomici si amplificano o si dissolvono in base allo stato interiore.

Nei suoi autoritratti, Munch ha indagato con insistenza la propria immagine, documentando momenti di tristezza, frustrazione e rinascita. Queste opere non vanno intese semplicemente come esercizi d’introspezione, ma costituiscono un discorso universale su come l’essere umano si rapporti alle proprie paure. Nella mostra, alcuni esempi di queste riflessioni sul sé permettono di avvicinarsi in modo diretto all’animo dell’artista, cogliendo l’evoluzione del suo linguaggio pittorico e dei suoi temi.

Le innovazioni tecnico-formali

Sebbene spesso ricordato principalmente per la sua forza espressiva, Edvard Munch fu anche un innovatore sul piano formale, sperimentando con materiali e tecniche in maniera costante. La sua produzione si caratterizza per la sovrapposizione di colori e per le pennellate rapide, a volte vicine al bozzetto, che accentuano l’effetto di immediatezza. Nel campo della grafica, Munch manipolava matrici di legno e pietra in modo quasi scultoreo, scontornando e scavando le forme per ottenere risultati del tutto inediti.

Alcune serie di stampe dimostrano come l’artista studiasse variazioni di tonalità e gradazioni di inchiostro, cercando sempre di enfatizzare i contrasti e di generare atmosfere cupe o, viceversa, sfumate e indefinite. Quest’attenzione alla dimensione tecnica trova riscontro nelle sale di Palazzo Bonaparte, dove i processi di realizzazione delle opere vengono approfonditi da pannelli e didascalie precise, offrendo spunti di riflessione a studiosi e appassionati.

Il valore di un’esperienza diretta

Avvicinarsi alle tele di Edvard Munch significa confrontarsi con una forza espressiva che spesso trascende la riproduzione fotografica. Non di rado, infatti, la reale intensità dei colori, la saturazione e la stesura del colore risultano amplificate quando si ha la possibilità di osservare l’opera dal vivo. La “Mostra: Munch. Il grido interiore” intende restituire proprio quella dimensione sensoriale e fisica, così essenziale per comprendere l’impronta lasciata da Munch nella storia dell’arte.

Tra i dipinti più noti, “L’Urlo” viene spesso evocato come emblema dell’angoscia moderna. Eppure, vedere dal vivo le diverse versioni, o confrontarsi con altre tele come “Madonna” e “Vampiro”, permette di cogliere come l’artista modulasse il medesimo tema del dolore e del desiderio in sfumature sempre diverse. La materialità della pennellata, le imperfezioni e le tracce lasciate dal pennello, diventano elementi costitutivi di una poetica che fa della vulnerabilità un aspetto esteticamente rilevante.

Un itinerario di studio e contemplazione

Di fronte a un corpus di opere così ampio e variegato, il pubblico può scegliere di fruire la mostra secondo diversi piani di lettura. Da un lato, vi è la dimensione della ricerca storica, che invita a inquadrare l’evoluzione di Munch in relazione alle coeve correnti europee e ai mutamenti sociali dell’epoca. Dall’altro, la componente spirituale e emotiva dell’arte munchiana emerge come autentica testimonianza di una sensibilità che scuote le certezze razionali e obbliga lo spettatore a confrontarsi con i propri sentimenti.

Per gli studenti di storia dell’arte, la visita a Palazzo Bonaparte può trasformarsi in un prezioso momento di approfondimento: l’analisi delle pennellate, l’osservazione ravvicinata delle tecniche di stampa, lo studio dei soggetti e delle iconografie offrono un ampio repertorio di spunti di riflessione. Per il visitatore mosso da un interesse più generale, l’incontro con Edvard Munch rappresenta una porta d’accesso privilegiata a questioni esistenziali universali, quali la solitudine, la paura e il desiderio di amare e di essere amati.

La dimensione culturale di Palazzo Bonaparte

Sede di importanti mostre ed eventi, Palazzo Bonaparte si è affermato negli ultimi anni come polo culturale di primaria importanza nella città di Roma. L’architettura storica del palazzo, con i suoi saloni decorati e la sua posizione centrale, dialoga in maniera efficace con le esigenze di allestimenti moderni e scientificamente accurati. Tale compenetrazione di tradizione e innovazione rispecchia la missione di rendere accessibile a un pubblico vasto esposizioni di alto valore artistico e storico.

Nel caso della “Mostra: Munch. Il grido interiore”, il contesto architettonico si presta a enfatizzare il dramma interiore evocato dalle tele. I percorsi interni, studiati in modo da facilitare la concentrazione e il confronto tra opere, creano uno spazio di riflessione silenziosa in cui la dimensione emotiva può emergere con naturalezza. In tal senso, la visita va oltre la semplice osservazione di capolavori: diventa un’esperienza immersiva in cui l’anima di Edvard Munch risuona nell’ambiente, offrendo un dialogo intimo con lo spettatore.

Uno sguardo sulla ricezione critica

Nel corso del Novecento, la critica ha riconosciuto a Edvard Munch un ruolo fondamentale per la definizione dell’Espressionismo. Già dagli inizi del secolo, i suoi dipinti suscitarono dibattiti accesi: se da un lato c’era chi li giudicava eccessivi e perturbanti, dall’altro alcuni artisti e letterati ne compresero subito la portata rivoluzionaria. Oggi, Munch è universalmente considerato uno degli esponenti più alti della pittura moderna, un maestro che ha fatto da ponte tra il Simbolismo di fine Ottocento e le avanguardie del XX secolo.

Gli studiosi sottolineano come la sua arte abbia aperto la strada a una concezione nuova della rappresentazione del corpo e dell’emozione. Il corpo, nei dipinti di Munch, non è mai soltanto un soggetto anatomico: è anche un veicolo di pensieri e sensazioni che traspaiono sulla superficie pittorica. Questa svolta ha influenzato molti artisti successivi, dai protagonisti dell’Espressionismo tedesco fino agli autori del secondo dopoguerra che cercavano di esprimere gli stati di disagio e di alienazione dell’essere umano in società sempre più complesse.

L’eredità contemporanea di Munch

Ripercorrendo i sentieri dell’arte contemporanea, si incontrano tracce evidenti del contributo di Edvard Munch. Le sue deformazioni espressive, la scelta di colori violenti e di tagli compositivi arditi si ritrovano non solo nei movimenti storici dell’Espressionismo astratto o della Nuova Oggettività, ma anche in alcuni filoni della pittura figurativa più recente. Pittori, fotografi e performance artist di epoche successive hanno attinto alla lezione munchiana sulla rivelazione dell’interiorità, talvolta anche in chiave politica e sociale.

La “Mostra: Munch. Il grido interiore” offre dunque l’opportunità di osservare la genesi di un linguaggio che, pur nato in un contesto differente, si presta ancora a interpretazioni attuali. Il filo rosso che lega l’opera di Munch alle ricerche contemporanee risiede proprio in quell’urgenza di esprimere l’inquietudine esistenziale, la tensione fra identità e alterità, fra gioia e tormento. Tali temi attraversano i decenni, continuando a interrogare l’arte e la sensibilità dell’uomo di oggi.

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