14 Dicembre - 30 Marzo 2025
Fondazione Memmo - Via Fontanella Borghese 56b
Alla Fondazione Memmo, dal 14 dicembre 2024 al 30 marzo 2025, In una brezza leggera. Conversation Piece – Part X interroga il rapporto tra materia e spirito nell’arte contemporanea. Curata da Marcello Smarrelli, la rassegna esplora la metafora del vento come soffio vitale, coinvolgendo artisti di diverse generazioni che hanno scelto Roma come luogo di ricerca.
In una brezza leggera. Conversation Piece – Part X è un viaggio che invita a riflettere su come il vento si configuri quale simbolo privilegiato della vita, della presenza del divino e, al contempo, di quell’aura sottile che rende ogni opera d’arte non un mero oggetto, ma un potenziale soggetto. La mostra, aperta al pubblico dal 14 dicembre 2024 al 30 marzo 2025 negli spazi della Fondazione Memmo, giunge alla sua decima edizione di Conversation Piece, un ciclo espositivo che mette in dialogo artisti provenienti da contesti diversi, accomunati dall’aver scelto Roma come luogo di ispirazione. Dietro il richiamo al Ponentino, brezza leggera che attraversa la storia e la cultura della città, si nasconde la questione filosofica ed estetica sull’“anima” delle opere, nella tensione fra la loro essenza materiale e la dimensione spirituale che trascende lo scorrere del tempo.
Da sempre, Roma rappresenta un crocevia privilegiato per artisti italiani e internazionali, attratti non soltanto dal suo patrimonio millenario, ma anche da un clima culturale in costante fermento. In una brezza leggera nasce dunque dal desiderio di restituire uno sguardo ampio sulla produzione più attuale, valorizzando la pluralità di voci che ogni anno confluiscono nella Capitale, specie grazie alle residenze artistiche offerte da accademie e istituti di cultura.
L’iniziativa si inserisce nel più ampio progetto Conversation Piece, inaugurato con l’intento di documentare come le energie creative internazionali si confrontino con il tessuto urbano e culturale romano. Fin dalla prima edizione, questo programma ha incoraggiato artisti di background differenti a elaborare opere ispirate tanto dal confronto con i luoghi della città, quanto da temi universali proposti di volta in volta dal curatore Marcello Smarrelli. L’obiettivo è di favorire un dialogo aperto fra generazioni, tradizioni estetiche e comunità locali.
Il titolo della mostra, In una brezza leggera, richiama un episodio biblico, in cui il profeta Elia avverte la presenza di Dio in un soffio di vento. Al di là del suo significato religioso, questo brano racchiude un concetto altamente poetico: nella semplice manifestazione di un vento gentile può celarsi la rivelazione, l’energia primigenia in grado di dar forma e respiro a tutto ciò che esiste.
Nella storia di Roma, il Ponentino non è soltanto un riferimento meteorologico: è un elemento vivo del folklore locale, celebrato negli stornelli e amato da cineasti come Fellini, che lo voleva protagonista del suo film Roma. Per l’artista contemporaneo, questa brezza estiva diventa il punto di partenza ideale per un discorso sul **rapporto fra l’opera e il suo “soffio vitale”**, che la rende duratura e capace di parlare alle generazioni future. Nello sfondo emerge il tema di un rinnovato **animismo**, secondo cui non solo gli esseri umani, ma anche gli oggetti creati dall’uomo, potrebbero possedere un’anima, un soffio che li anima e rende partecipi di un’energia più grande.
La domanda “Le opere d’arte hanno un’anima?” aleggia come filo conduttore di questo decimo capitolo di Conversation Piece. Riprendendo alcuni orientamenti filosofici e antropologici, il curatore Marcello Smarrelli individua in molte ricerche contemporanee l’affermarsi di un nuovo animismo, in cui la sfera del vivente si espande fino a comprendere ciò che prima era considerato inanimato. Gli artisti convocati per In una brezza leggera condividono, ognuno con sensibilità propria, un atteggiamento che supera la semplice rappresentazione di oggetti: le loro installazioni, tele, sculture e opere fotografiche cercano di far emergere aspetti insospettati, forze invisibili e, appunto, un “soffio” interiore in grado di trasformare la materia.
Questa decima edizione di Conversation Piece vanta la partecipazione di nomi ormai noti sulla scena internazionale e nuove voci che stanno sperimentando, in modo originale, un approccio all’arte come evento spirituale. Il ventaglio degli ospiti comprende Bianca Bondi, Enzo Cucchi con Andrea Anastasio, Francesco Arena, Marc Bauer, Elisabetta Benassi, Carlo Benvenuto, Domenico Mangano, Sidival Fila, Vanessa Garwood e Richard Mosse. Il percorso espositivo ruota attorno a lavori site-specific o presentati per la prima volta a Roma, accomunati dal tema del vento e dal quesito sull’anima delle opere.
L’artista sudafricana Bianca Bondi (classe 1986) concentra la sua pratica sull’idea di elevare gli oggetti banali a stati di esistenza superiori, grazie a processi chimici mirati. Per In una brezza leggera, propone Pneuma (2024), un’installazione ambientale che prevede l’uso di soluzioni saline e bouquet di fiori sospesi. Questo lavoro si basa sull’osservazione che la materia, anche quella più comune, non è mai del tutto inerte.
Al contrario, attraverso reazioni e trasformazioni, essa rivela un potenziale spirituale: la cristallizzazione dell’acqua, che ascende lungo le corde e avvolge i fiori, rende visibile un “respiro” intangibile, capace di pervadere l’intero ambiente. In una conversazione ideale con la tematica del vento, Bondi mostra come la vita possa emergere proprio nei luoghi più inaspettati, dal nascosto al tangibile, dal materiale all’immateriale.
Personalità di spicco dell’arte italiana, Enzo Cucchi (nato nel 1949) trova in Roma un contesto di grande stimolo fin dagli esordi della sua carriera. Noto per la sua pittura visionaria, qui si presenta con un lavoro scultoreo realizzato in collaborazione con Andrea Anastasio, Francesco Arena, Marc Bauer, Elisabetta Benassi, Carlo Benvenuto e Domenico Mangano. L’opera, dal titolo Scirocca (2005), funge quasi da totem d’ingresso nella mostra, evocando il vento caldo che soffia nel borgo delle Marche in cui è nata l’idea.
Sviluppata come un cadavre exquis scultoreo, “Scirocca” si basa sulla libera condivisione tra artisti: ognuno ha contribuito con materiali e interventi differenti, fra marmi policromi, parti di scultura e persino il fumo, concepito come ulteriore elemento che alleggerisce la pesantezza della pietra. In questa fusione di linguaggi, la materia trascende se stessa, divenendo qualcosa di vivo, in dialogo con lo spazio e il visitatore. Un potente esempio di come l’arte, intesa come gesto collettivo, possa trasformare l’inerte in un’entità vibrante, **carica di potenziale narrativo**.
Tra le presenze più peculiari del progetto, Sidival Fila (nato in Brasile nel 1962) è un frate francescano che ha avviato un singolare cammino di ricerca artistica, fondato sul riutilizzo di tessuti antichi. Per lui, ogni stoffa trattiene la memoria di epoche passate e, sottratta alla sua funzione quotidiana, può finalmente “parlare”. La stoffa diventa così veicolo di storie, di racconti sospesi che cercano un nuovo **soffio** per emergere.
Nell’ambito di In una brezza leggera, Fila presenta un gruppo di opere in cui s’intuisce chiaramente la volontà di **liberare l’oggetto dalla sua condizione materiale**, inserendolo in un contesto di riflessione sullo spazio, la luce e l’architettura. Fra i lavori spicca il polittico Metafora Giallo 35 (2024), formato da 35 elementi disposti ad angolo che collocano il tessuto fra pittura e scultura. L’idea è restituire una nuova vita al materiale, consentendogli di superare la soglia dell’invisibile. In questa prospettiva, l’uso del cucito e della manualità acquista un significato meditativo: l’artista diventa tramite di una forza che si trasmette di generazione in generazione, esaltando la dimensione sacrale dell’arte.
Vanessa Garwood (nata nel 1982 nel Regno Unito) affronta per la prima volta, nell’ambito di questa mostra, un intervento di expanded painting. La sua ricerca è legata principalmente a ritratti di donne in momenti di intimità o quotidianità, ma qui si apre all’idea di un’azione pittorica che si estende alla parete. L’opera Give Me a Hand to Say Yes (2024) accoglie il visitatore in uno scenario che richiama antichi rituali di danza, in cui piccoli gruppi di figure sembrano muoversi mossi da un vento impalpabile.
Il riferimento esplicito è alla Tomba delle Danzatrici (IV secolo a.C.) di Ruvo, esempio di come la rappresentazione del corpo femminile in movimento possa rimandare a un’energia collettiva, a un passato che ancora vibra nel presente. A colpire, nella proposta di Garwood, è la sensazione che la pittura stessa venga “animata” da un soffio di vitalità, come se le silhouette si sollevassero davvero, invitandoci a entrare in una dimensione vibrante in cui luce e colore diventano il corrispettivo sensoriale di un vento leggero.
L’artista irlandese Richard Mosse (nato nel 1980) si è distinto per una pratica fotografica che indaga l’uso di tecnologie militari e industriali al fine di smascherare i conflitti celati nei territori interessati da tensioni geopolitiche. In questa mostra, propone una serie realizzata nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo fra il 2010 e il 2015, utilizzando la pellicola fotografica Kodak Aerochrome. Originariamente messa a punto a scopi militari, la pellicola coglie gli infrarossi, trasformando la vegetazione in tonalità di rosso acceso, mentre il resto dello scenario assume sfumature surreali.
La presenza di Mosse amplifica il concetto del vento come forza che svela l’invisibile. Qui, non è un vento reale ma piuttosto un “vento tecnologico”, una scansione dell’ambiente che fa emergere i meccanismi di potere e sfruttamento dietro il paesaggio. Le sue immagini, infatti, raccontano di come gli interessi minerari internazionali abbiano spinto all’uso di pellicole infrarosse per mappare il sottosuolo, con pesanti conseguenze in termini di conflitti e sofferenze umane. In questo senso, l’opera di Mosse diviene una finestra su realtà altrimenti invisibili, scoperchiando la dimensione politica insita anche nelle dinamiche più sottili.
Con la sua decima edizione, Conversation Piece consolida la vocazione di monitorare costantemente la scena artistica contemporanea e, al contempo, di raccontare l’ampio spettro di modalità con cui gli artisti vivono e interpretano Roma. Il titolo stesso della rassegna, mutuato da un celebre film di Luchino Visconti (Gruppo di famiglia in un interno, 1974), evoca la conversazione come atto di scambio: non solo fra figure diverse, ma tra epoche, discipline e culture.
Nel contesto di questa mostra, la “conversazione” si sviluppa attorno all’elemento comune del vento, qui inteso come metafora dell’anima, dell’ineffabile e di quell’energia che pervade tanto l’individuo quanto gli spazi urbani. Da un lato, i rimandi al folklore e alla storia romana (il Ponentino, le danze antiche, i culti del passato) offrono un aggancio significativo; dall’altro, la risonanza con correnti di pensiero contemporanee – come l’animismo e le riflessioni sulla vitalità della materia – aggiorna la questione, conferendole un respiro perfettamente attuale.
Emblematico, in questo progetto, è l’interesse condiviso degli artisti verso i processi di trasformazione e i cambiamenti di stato che possono avvenire negli oggetti e nei materiali. Per Bianca Bondi, la reazione chimica evidenzia una forza nascosta; per Enzo Cucchi e gli altri coautori di Scirocca, la collaborazione rende tangibile un’anima “collettiva” che trasfigura la pietra in un corpo quasi vivo; Sidival Fila riconosce nel tessuto un passato che merita di essere risvegliato; Vanessa Garwood e Richard Mosse affidano rispettivamente a pittura e fotografia il compito di cogliere quei flussi energetici che sfuggono alla vista ordinaria.
È proprio questa tensione fra visibile e invisibile, fra materiale e immateriale, a conferire un carattere quasi “sacrale” all’esposizione. Emerge un’idea dell’arte come pratica di rivelazione, capace di far affiorare una realtà ulteriore, in cui lo spettatore si sente parte attiva, toccato a sua volta da quell’alito di vento che scorre fra le sale.
Non si può trascurare, in tal senso, il valore di Roma come sfondo imprescindibile. Il tessuto urbano della Città Eterna, che conserva tracce di epoche stratificatesi nei secoli, rappresenta una fonte inesauribile di immaginari. Qui, il Ponentino non è soltanto un fenomeno climatico, ma assume il rango di elemento poetico capace di influenzare la memoria collettiva. Allo stesso modo, la varietà di spazi, musei, chiese e rovine fa sì che la città risponda alle opere, quasi ne fosse un’eco vivente.
Da questa prospettiva, il dialogo fra i singoli lavori e l’ambiente circostante diviene occasione di reciproca trasformazione: le installazioni e le sculture entrano in risonanza con le suggestioni della capitale, mentre la città, sfiorata da questo nuovo vento artistico, aggiunge un capitolo alla propria storia millenaria.
Per chiunque ami l’arte contemporanea in chiave **profonda** e **riflessiva**, In una brezza leggera rappresenta un’occasione imperdibile. Da un lato, l’esposizione si inserisce in un ciclo ormai consolidato, Conversation Piece, garantendo un alto profilo curatoriale e la presenza di figure artistiche di grande interesse. Dall’altro lato, la mostra risulta altamente stimolante per il pubblico che voglia esplorare il potenziale “metafisico” insito nella pratica artistica.
La scelta di focalizzarsi sulla metafora del vento arricchisce l’itinerario di suggestioni letterarie e filosofiche. Se si considera il ricco bagaglio storico e culturale di Roma, l’esperienza della mostra s’intreccia con la scoperta o riscoperta della città, la cui dimensione intangibile si disvela all’occhio sensibile di chi osserva. Il **soffio** che attraversa queste sale è, al tempo stesso, antico e innovativo, locale e universale.
L’interesse di In una brezza leggera supera anche il contesto immediato dell’esposizione. Al centro, vi è la riflessione sul futuro dell’arte e sulle sue potenzialità di resistere o dialogare con il tempo. Nelle parole del curatore, l’opera porta con sé un processo spirituale e metafisico, destinato a sopravvivere oltre la vita biologica del suo creatore, costituendo un ponte di idee fra generazioni. Questa visione di lungo periodo, in cui passato, presente e futuro si intrecciano, arricchisce la mostra di un senso di continuità e di eredità culturale.
Ogni artista, nel proprio linguaggio, testimoniando tale tensione, consegna al pubblico una versione del vento: c’è chi lo concepisce come fenomeno fisico che cambia la percezione dello spazio, chi lo traduce in forme simboliche legate al concetto di anima, e chi, infine, lo vede come strumento per evidenziare realtà nascoste, siano esse di natura geopolitica o socio-culturale.
“In una brezza leggera” diventa così lo specchio di un’epoca in cui l’arte ritrova una vocazione “animista”: il creare non è solo un atto tecnico, ma l’attivazione di una forza trascendente che si innesta tanto nella materia quanto nella mente dell’osservatore. In un mondo segnato dalla rapidità delle comunicazioni e da un’espansione tecnologica senza precedenti, alcuni artisti sentono l’urgenza di recuperare una dimensione arcaica, in cui l’elemento naturale (il soffio, la luce, l’acqua) diventa alleato e non mera risorsa da sfruttare. Questa scelta rinnova il senso stesso dell’esposizione, riconoscendo nell’arte un metodo di indagine intima e collettiva, in grado di toccare corde profonde della sensibilità umana.
L’ampiezza delle voci coinvolte conferisce a In una brezza leggera un’identità plurale: dalle riflessioni “religiose” di Sidival Fila alla denuncia socio-politica di Richard Mosse, passando per gli interventi pittorici e scultorei di Vanessa Garwood, Bianca Bondi e Enzo Cucchi, ciascuno offre un tassello di una visione più grande. Il pubblico attraversa stanze e corridoi dove la leggerezza del vento assume sfumature di volta in volta intime, collettive o universali, sino a configurare un percorso iniziatico verso la scoperta del “soffio animato” dell’arte.
Così strutturata, l’esposizione rafforza l’idea che il vento non sia soltanto un elemento dell’atmosfera ma un vettore simbolico che attraversa la storia dell’umanità, la spiritualità, le pratiche rituali e la cultura popolare. Il Ponentino romano, su cui si incentra l’idea curatoriale, diventa allora un espediente narrativo per raccontare come l’aria in movimento possa farsi veicolo di rivelazione.
Sin dalla sua nascita, Conversation Piece si distingue per la volontà di **monitorare costantemente la scena artistica contemporanea** a Roma, specialmente le proposte emergenti che giungono dalle accademie e dagli istituti di cultura stranieri. Nel corso degli anni, questo format ha coinvolto numerosi artisti di rilevanza internazionale, offrendo loro opportunità di crescita e di visibilità nella cornice romana.
“In una brezza leggera” ribadisce questa missione di scambio e di confronto, chiamando a raccolta voci plurali e incentivando momenti di dialogo. La mostra funziona come una piattaforma che unisce artisti di diversa provenienza, li mette in relazione con lo spazio cittadino e li invita a elaborare un tema condiviso, favorendo la sperimentazione di nuovi linguaggi. Tale dialogo è in linea con il doppio riferimento a Conversation Piece: sia il film di Visconti, metafora del confronto generazionale, sia il genere pittorico settecentesco che ritraeva gruppi di persone in conversazione. Entrambe le suggestioni convergono in una lettura attuale: l’arte, oggi più che mai, deve stimolare il dibattito e aprire prospettive inaspettate.
Uno dei pregi della rassegna è il consolidamento della presenza internazionale a Roma. Grazie alle residenze che istituzioni prestigiose offrono, numerosi artisti scelgono la città come luogo di produzione, scambio e arricchimento. Questa contaminazione perpetua tra culture diverse rappresenta la linfa vitale di un panorama artistico sempre in evoluzione.
Dalla dimensione più poetica e spirituale (come nel caso di Sidival Fila o Bianca Bondi) a quella più marcatamente sociale e politica (come con Richard Mosse), il progetto accoglie molteplici modalità di lettura e interpretazione del reale, rispecchiando l’anima universale della città. L’idea di un “vento” che porta con sé storie e saperi, infatti, si pone come metafora del continuo arricchimento che Roma offre a chi la vive e la osserva da nuove prospettive.
Le ragioni per visitare questa mostra sono molteplici. Sul piano artistico, offre l’opportunità di confrontarsi con una selezione di opere site-specific dalle tecniche eterogenee: scultura, pittura, installazione, fotografia e interventi di expanded painting si integrano in un itinerario coerente. Sul piano critico, il tema del vento declinato attraverso il filtro dell’animismo e dell’interrogazione su un’ipotetica “anima” dell’opera d’arte fornisce spunti di riflessione originali, tanto sulle poetiche individuali dei partecipanti quanto sulla funzione dell’arte nella società.
L’impianto curatoriale orchestrato da Marcello Smarrelli riesce a valorizzare le specificità di ciascun artista, offrendogli l’occasione di esprimersi liberamente pur all’interno di un discorso unico. Di conseguenza, il pubblico può avvicinarsi a varie concezioni di **processo creativo**, percependo la mostra non come una somma di lavori, ma come un grande organismo vivente attraversato da una brezza condivisa.
Un ulteriore aspetto di pregio risiede nella dimensione immersiva che la mostra propone. Entrare negli ambienti allestiti alla Fondazione Memmo significa sperimentare, in senso quasi fisico, la presenza di questa breeze che vivifica e collega le opere, come se ci si trovasse all’interno di un paesaggio interiore in cui spazio e materia dialogano incessantemente. Questo aspetto esperienziale permette di cogliere il messaggio della mostra non solo in termini intellettuali, ma anche sensoriali ed emotivi. La fruizione diventa così un viaggio che interseca molti livelli di lettura, invitando lo spettatore a farsi parte attiva nel completamento del significato.
In definitiva, l’idea di dedicare un’intera rassegna al vento e alla sua funzione simbolica riflette la volontà di radicarsi, attraverso l’arte, in qualcosa di **eterno** e **ancestrale**, pur restando attenti ai processi contemporanei. Tra le diverse scale temporali – dalla Bibbia e dalla mitologia greca fino all’estetica del presente – emerge un filo rosso che unisce l’umanità attorno alla percezione di un soffio che trascende la singola epoca e ci unisce alla nostra storia comune.
Allo stesso tempo, “In una brezza leggera” non evita di guardare al futuro: attraverso i lavori in mostra, comprendiamo che l’arte può e deve aprirsi a prospettive che includano anche la cura del nostro ambiente, la presa di coscienza dei conflitti e la ricerca di una consapevolezza più ampia sul ruolo della spiritualità nella società contemporanea.
Chi visita “In una brezza leggera. Conversation Piece – Part X” si confronta con un itinerario che pone in primo piano **domande** e **suggestioni** più che risposte definitive. L’opera d’arte qui si propone come soggetto vivo, dotato di un’essenza capace di attraversare epoche e generazioni. Nella sinergia tra l’elemento naturale del vento e il gesto umano della creazione artistica, emergono inedite possibilità di interpretare l’esistenza, lo spazio e il rapporto tra materia e spirito. Passo dopo passo, la mostra offre così al pubblico l’opportunità di sentirsi non solo spettatore, ma parte integrante di un dialogo in continua evoluzione, in cui ogni respiro può divenire atto di contemplazione e ogni opera un segno tangibile di un animismo rinnovato.
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