13 Dicembre - 20 Aprile 2025
MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. Via Guido Reni, 4a
Scopri un percorso fotografico che attraversa la storia culturale italiana, dal dopoguerra a oggi. Guido Guidi torna al MAXXI con uno sguardo lucido e riflessivo sul passare del tempo. Un appuntamento imperdibile per chi desidera esplorare la sottile relazione tra paesaggio, architettura e memoria, nel cuore della fotografia d’autore italiana.
L’evento dedicato all’ampia ricerca visiva di Guido Guidi rappresenta un viaggio appassionante nelle vicende dell’Italia dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, esplorando i mutamenti urbanistici e sociali che hanno plasmato il nostro presente. Dall’iniziale sperimentazione giovanile fino alle campagne fotografiche più recenti, la mostra svela la costante riflessione del fotografo sulle tracce che il tempo lascia negli spazi abitati: manufatti, luoghi periferici e centri storici emergono dalle sue immagini in una narrazione che fonde minimalismo ed essenzialità.
L’esposizione, allestita presso il MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, coprirà un ampio arco temporale, dal 13 dicembre 2024 al 20 aprile 2025. Attraverso un ricco corpus di scatti, si delinea la poetica di un autore che, in oltre sessant’anni di attività, ha saputo raccontare il paesaggio italiano con uno sguardo insieme analitico ed empatico.
Nato nel 1941 a Cesena, Guido Guidi si è progressivamente imposto come una delle voci più significative della fotografia italiana contemporanea. La sua formazione, avvenuta dapprima presso il Corso Superiore di Disegno Industriale di Venezia, risente di una forte influenza architettonica, tangibile in molti suoi lavori. Il rapporto tra lo spazio costruito, il paesaggio naturale e l’essere umano è un filo conduttore onnipresente, declinato secondo un’estetica che predilige il silenzio e l’attenzione alle tracce del quotidiano.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, Guidi inizia a sviluppare una ricerca in cui la periferia assume un ruolo primario: paesaggi rurali e zone marginali della provincia romagnola diventano soggetti privilegiati, portando alla luce forme architettoniche che spesso sfuggono all’osservazione comune. Una delle peculiarità del suo linguaggio è la capacità di soffermarsi su elementi apparentemente trascurabili, rivelandone la bellezza strutturale e la memoria insita nelle superfici. In questa prospettiva, il tempo si manifesta come patina, come traccia che incide sulle architetture e sulle storie personali.
Se da un lato il suo sguardo appare distante e talvolta asettico, dall’altro non manca di una velata empatia, come se ogni scatto racchiudesse la promessa di un racconto più grande. Le immagini, spesso in grande formato, catturano inquadrature che rasentano l’astrazione, anche quando si tratta di semplici muri scrostati o strutture edilizie in disuso.
Non si tratta tuttavia di un’astrazione fine a se stessa: la ricerca dell’essenza dell’oggetto fotografato si unisce alla volontà di documentare i processi di cambiamento sociale e urbanistico che hanno segnato l’Italia del secondo dopoguerra. In questo senso, Guidi opera come un cronista silenzioso, capace di trasfigurare la realtà in immagini di forte impatto visivo.
La sensibilità di Guido Guidi nei confronti del dettaglio e delle trasformazioni della luce ha più volte attirato l’attenzione di critici e musei internazionali. Le sue prime sperimentazioni, ispirate anche dall’astrazione pittorica e dalla fotografia minimalista americana, si sono presto fuse con la tradizione del realismo italiano.
Questa doppia anima rende il suo lavoro particolarmente originale: mentre da un lato si percepisce l’eco di alcuni maestri statunitensi, come Stephen Shore o William Eggleston, dall’altro la sua poetica rimane fortemente radicata nella storia e nella cultura del Bel Paese, testimoniando un’affinità con il lavoro di Luigi Ghirri e di altri fotografi dell’epoca.
La dimensione del tempo attraversa ogni scatto di Guidi, non solo per la scelta di soggetti che mostrano stratificazioni, ma anche per il modo in cui la fotografia assume la duplice veste di documento e di interpretazione poetica. In diversi periodi, l’autore si è dedicato a campagne fotografiche che seguivano la costruzione di nuove infrastrutture o la ristrutturazione di centri urbani, immortalando gli stadi intermedi di un processo in continua trasformazione. Da ciò emerge una visione “archeologica” della contemporaneità: ogni cantiere, ogni edificio in abbandono diventa un reperto, un segno tangibile della relazione instabile tra passato e futuro.
La carriera di Guido Guidi abbraccia un arco temporale straordinariamente vasto, esteso dalla seconda metà del Novecento fino agli anni più recenti. Tale percorso si intreccia con i momenti chiave della fotografia italiana: dalla stagione neorealista, che ha posto l’accento sulla documentazione della società del dopoguerra, alle sperimentazioni degli anni Settanta e Ottanta, passando per il consolidarsi del linguaggio autoriale negli anni Novanta.
All’inizio, Guidi si affaccia al mondo dell’immagine con uno spirito sperimentale: frequenta corsi di design e architettura, nutrendo il suo sguardo di un’attenzione quasi geometrica per la forma. Negli anni Sessanta, la riflessione sul colore in fotografia comincia a diffondersi anche in Italia, e Guidi ne esplora la potenzialità espressiva. Tale interesse per il colore, unito alla sua formazione tecnica, lo porterà a realizzare alcuni dei lavori più peculiari del periodo, ben presto notati a livello nazionale e non solo.
Negli anni Settanta e Ottanta, la scena fotografica italiana vive una fase di profonda trasformazione, in cui si riconosce la nascita di un vero e proprio “movimento autoriale”. L’opera di Guidi si inserisce in questo contesto, ma vi si distingue per una vena quasi meditativa, per la scelta dei luoghi e la ripetizione metodica degli scatti, come se volesse catturare il passaggio dell’ora del giorno, o il cambio di stagione, in piccoli dettagli di spazi urbani o rurali. Questa sua costante ricerca di un ritmo interiore dà forma a una lunga sequenza di progetti che, visti nel loro complesso, compongono un mosaico di grande coerenza.
Un tratto peculiare dell’opera di Guido Guidi è l’interesse per i contesti “minori” o periferici. Lontano dalle vedute classiche delle grandi città d’arte, i suoi obiettivi si posano su strade secondarie, abitazioni ordinarie e zone spesso considerate prive di attrattiva. Il suo intento non è di svelarne un fascino nascosto, quanto piuttosto di documentare l’alterità e la quotidianità, dando dignità e presenza a realtà spesso ignorate dalla cultura visiva mainstream.
Ne derivano immagini di grande poesia, in cui la luce naturale diventa protagonista e in cui ogni minima variazione di tono o di ombra assume un valore narrativo. Se la filosofia di Luigi Ghirri invitava a vedere il mondo con occhi nuovi, quella di Guidi sembra incitare a un’osservazione lenta, a un procedere per avvicinamenti successivi, in cui il tempo diventa il vero soggetto dell’operazione fotografica.
Nell’arco di oltre sessant’anni di attività, Guido Guidi ha sviluppato un approccio metodico alla fotografia, lavorando sia in analogico che in digitale, senza rinunciare alla coerenza del suo stile. Importanti collaborazioni con istituzioni pubbliche e private ne hanno consolidato la fama. In particolare, l’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) ha ospitato e supportato diverse sue iniziative, riconoscendo il valore storico-documentario della sua produzione.
L’autore ha inoltre esposto in alcuni dei più prestigiosi musei e gallerie del panorama internazionale, suscitando un crescente interesse per la fotografia come forma d’arte e strumento di indagine sociale. Le sue immagini, pur nella loro semplicità iconografica, veicolano una profonda riflessione sul senso dell’abitare, sulle stratificazioni culturali che si celano dietro ogni facciata, ogni scorcio di paesaggio urbano o rurale.
L’esposizione in programma al MAXXI – dal 13 dicembre 2024 al 20 aprile 2025 – riunisce una vasta selezione di opere che abbracciano quasi settant’anni di carriera, offrendo una panoramica completa sul lavoro di Guido Guidi. Con il titolo “Guido Guidi. Col tempo, 1956-2024”, la mostra intende mettere in risalto la dimensione temporale nella produzione dell’autore. Il visitatore si troverà di fronte a un racconto fatto di sequenze e contrappunti, di immagini che dialogano tra loro mostrando, in filigrana, il filo conduttore di un’osservazione costante dei luoghi e dei loro cambiamenti.
Ogni sezione espositiva è pensata per mettere in luce specifici aspetti della poetica di Guidi: dalle prime prove in bianco e nero ai lavori a colori più maturi, passando per progetti monografici dedicati alle trasformazioni del paesaggio italiano. In alcune sale si potranno ammirare scatti inediti, frutto di campagne recenti, che testimoniano come l’interesse dell’autore non si sia mai affievolito. Al contrario, la sua ricerca prosegue con la stessa curiosità degli esordi, focalizzandosi su temi ambientali, sull’idea di confine tra centro e margine e sul dialogo tra edilizia moderna ed eredità storica.
Il percorso espositivo segue un criterio prevalentemente cronologico, consentendo al pubblico di cogliere l’evoluzione stilistica e tematica di Guido Guidi. In questa progressione temporale si percepisce come l’artista, pur rimanendo fedele a un certo rigore formale, abbia saputo rinnovarsi: il passaggio dal bianco e nero al colore, l’uso di formati diversi, le variazioni di luce e di messa a fuoco. Il tutto contribuisce a formare una lettura stratificata, in cui il cambiamento non è mai una frattura, ma un graduale affinamento di uno sguardo già di per sé consapevole fin dalle prime opere.
Accanto alle immagini si trovano apparati didattici che contestualizzano i luoghi ritratti, fornendo spunti su come sono cambiati negli anni. L’intento non è solo estetico, ma anche documentario: le fotografie di Guidi sono finestre aperte su spazi spesso ignorati e su microstorie che compongono la grande narrazione del Paese. Questa dimensione “archivistica” della mostra è ulteriormente arricchita da materiali inediti, come appunti e schizzi realizzati dall’autore durante le sessioni di ripresa, a testimonianza di un pensiero visivo che si articola in modo costante e pianificato.
Lo spazio del MAXXI, progettato da Zaha Hadid, costituisce un dialogo architettonico interessante con l’opera di Guido Guidi. I volumi fluidi e le linee avveniristiche del museo accentuano la riflessione sul rapporto tra il costruito e la percezione visiva. In questo contesto, le fotografie, spesso raffiguranti luoghi ordinari, invitano lo spettatore a rallentare lo sguardo, in contrasto con la dinamicità dell’ambiente circostante. Un confronto stimolante, che ricalca l’idea di Guidi di porre attenzione allo spazio, all’angolo di ripresa, all’inquadratura come strumento di conoscenza.
L’allestimento fa uso di pareti e pannelli che consentono una fruizione agevole, lasciando che il discorso cronologico si intrecci con rimandi tematici interni alle opere. In questo modo, la visita si trasforma in un percorso intimo, quasi meditativo, in cui si entra in contatto con la sensibilità di un fotografo che ha dedicato la sua vita alla contemplazione dell’ordinario. Un’ulteriore opportunità di riflessione sulla funzione del museo come spazio di incontro tra l’arte e le esigenze di documentazione di un patrimonio visivo che ci appartiene.
La scelta di visitare la mostra su Guido Guidi al MAXXI non si riduce al semplice piacere estetico: l’esposizione offre diverse chiavi di lettura, spaziando dalla storia sociale all’analisi architettonica, dalla riflessione filosofica sul tempo alla scoperta del paesaggio periferico. Ogni visitatore, che sia un appassionato di fotografia o un semplice curioso, può trovare un proprio percorso di avvicinamento alle opere, complice anche l’ampia selezione di immagini che copre decenni di attività.
Vi è anzitutto un valore di testimonianza storica: le fotografie in mostra raccontano l’Italia nella sua evoluzione, restituendo un mosaico di luoghi e situazioni altrimenti dimenticati. Contesti rurali, fabbriche dismesse, cantieri, quartieri urbani in trasformazione: tutto concorre a delineare un quadro che invita alla riflessione sulla modernizzazione del Paese, sui processi di urbanizzazione, sulla scomparsa di alcune tradizioni e sull’emergere di nuovi stili di vita. Questo taglio documentario diventa ancor più significativo se si considera il lungo lasso di tempo coperto dalla rassegna, dal 1956 fino alle più recenti realizzazioni.
Dal punto di vista artistico, la mostra rappresenta un’occasione per confrontarsi con la ricerca estetica di un autore che ha saputo unire rigore e lirismo, osservazione analitica e afflato poetico. In un’epoca dominata da immagini effimere, riscoprire la cura compositiva e l’uso sapiente del colore o del bianco e nero diventa un’esperienza avvincente, capace di formare uno sguardo più consapevole sul mondo che ci circonda. Lo stesso Guido Guidi sottolinea spesso come la fotografia non sia solo il risultato di un gesto meccanico, ma di un vero e proprio processo di pensiero, in cui il tempo speso per l’osservazione è determinante.
È importante considerare come la produzione di Guidi si inserisca in un filone che ha visto nella nuova fotografia italiana un rinnovato interesse per il territorio, per i borghi, per le zone industriali dismesse e per i confini fra spazio urbano e campagna. In questo contesto, l’esposizione al MAXXI funge anche da ideale punto di convergenza di alcune delle più significative ricerche sul paesaggio realizzate in Italia nell’ultimo mezzo secolo. Questo aspetto è particolarmente evidente se si pensa al lavoro di altri autori contemporanei, con i quali Guidi ha condiviso visioni e riflessioni, pur mantenendo una cifra espressiva del tutto personale.
Inoltre, la mostra dialoga con il dibattito internazionale sulla fotografia documentaria e concettuale, un settore in cui l’Italia ha potuto vantare risultati notevoli, non sempre adeguatamente riconosciuti. La presenza di Guido Guidi in collezioni estere e in prestigiose rassegne internazionali ha contribuito a portare alla ribalta il contributo italiano a questa disciplina, aprendo strade innovative nella percezione del paesaggio e dell’architettura.
Per chi aspira a intraprendere un percorso nell’ambito della fotografia o dell’arte visiva, la produzione di Guidi offre numerose occasioni di riflessione e approfondimento. La coerenza metodologica, la sensibilità compositiva, l’utilizzo di un linguaggio sobrio ma incisivo e la dedizione allo studio dei luoghi rappresentano aspetti di grande rilevanza anche oggi. In un panorama sempre più segnato dal digitale e dai ritmi frenetici della condivisione online, la pratica lenta e meditativa di Guidi assume un valore quasi pedagogico, un invito a recuperare la dimensione del tempo nel processo creativo.
Allo stesso modo, la mostra invita a considerare la fotografia non soltanto come testimonianza, ma come interpretazione. I paesaggi di Guidi non sono mai meramente descrittivi: lasciano spazio a una stratificazione di significati, a un senso di apertura che stimola la fantasia del pubblico e lo spinge a interrogarsi sul proprio rapporto con il luogo fotografato. Tale approccio è tanto più prezioso in un’epoca in cui la velocità di fruizione delle immagini rischia di appiattire l’esperienza visiva.
La mostra si articola in diverse sezioni tematiche, che permettono di approfondire alcuni snodi fondamentali della produzione di Guido Guidi. Si parte dalla sezione dedicata alle prime sperimentazioni in bianco e nero, realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta, dove si percepisce già un’attenzione per la struttura geometrica dell’inquadratura. Subito dopo, si incontra uno spazio riservato all’esplorazione del colore, in cui spiccano fotografie degli anni Settanta e Ottanta, periodo in cui Guidi inizia a focalizzarsi maggiormente su dettagli architettonici, superfici urbane e periferie contadine.
Un altro nucleo di rilevanza è costituito dalle campagne fotografiche sui cantieri e sui paesaggi in trasformazione: qui il tema del tempo assume un significato ancora più evidente, poiché l’autore documenta diverse fasi di costruzione o abbandono, rivelando come la metamorfosi dei luoghi sia un processo stratificato, fatto di interventi successivi e di abitudini che si sovrappongono. Le immagini, disposte in ordine narrativo, consentono di comprendere quanto il paesaggio non sia mai statico, ma piuttosto il risultato di un intreccio di azioni e visioni.
Una sezione speciale è dedicata ai lavori realizzati negli ultimi vent’anni, in cui si scorgono i segni di un’Italia che cambia più velocemente e che affronta nuove sfide urbanistiche ed ecologiche. Qui Guidi si confronta con centri abitati che si espandono, zone industriali in riorganizzazione, paesaggi agricoli che subiscono nuove pressioni. Eppure, nonostante il passare del tempo, la sua poetica rimane fedele a uno sguardo introspettivo, che evita sensazionalismi e privilegia l’osservazione continua, la registrazione metodica dei fenomeni.
Le ultime opere dialogano in modo particolare con alcuni temi caldi della contemporaneità, come la sostenibilità ambientale, la conservazione del patrimonio storico e le esigenze di una società in rapido mutamento. Questa rinnovata lettura del reale non rinnega il passato, ma lo ingloba in un discorso che mette in relazione la microstoria del singolo luogo con la macrostoria del Paese. In tal modo, i lavori più recenti costituiscono la naturale prosecuzione di un percorso iniziato decenni fa, dimostrando la longevità di una ricerca che ha saputo mantenersi coerente e vitale.
Infine, la sezione conclusiva – pur senza chiudere in maniera definitiva il discorso, poiché l’opera di Guidi è in costante aggiornamento – offre spunti di riflessione sulla pratica fotografica intesa come atto di memoria personale e collettiva. Gli spazi dimenticati, i muri con crepe, i cantieri sospesi, le transizioni urbanistiche: tutto si accumula nell’archivio visivo dell’autore, che diventa così un repertorio della società contemporanea, un paesaggio interiore prima ancora che esteriore.
Per chi ama l’arte e la fotografia, la rassegna su Guido Guidi rappresenta un’opportunità preziosa di confronto con un maestro riconosciuto a livello internazionale. Il carattere retrospettivo dell’allestimento consente di cogliere non solo la singola immagine nella sua forza estetica, ma anche la continuità di un pensiero che si è evoluto negli anni, rimanendo però ancorato a una precisa visione del mondo. Il MAXXI, grazie alla sua vocazione per il contemporaneo, si conferma il luogo ideale per accogliere un autore la cui parabola artistica abbraccia il secondo Novecento e il XXI secolo, aprendo prospettive su come il tempo e lo spazio si intrecciano nell’opera fotografica.
In un itinerario ricco di richiami e di suggestioni, il visitatore potrà immergersi in paesaggi italiani distanti dai luoghi più battuti, lasciandosi guidare dai colori e dalle luci che mutano, dai dettagli architettonici che emergono inaspettati. Sarà un viaggio nella memoria e, insieme, un’occasione per riflettere su come il passaggio degli anni – dal 1956 al 2024 – abbia inciso in modo determinante sia sull’ambiente fisico sia sulla nostra percezione dello stesso. Questa complessità fa della mostra un appuntamento di grande rilievo, in grado di parlare non soltanto agli appassionati di fotografia, ma a tutti coloro che desiderano comprendere più a fondo il rapporto tra uomo e territorio.
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